Sarvegu: dialetto genovese, agg. selvatico/selvaggio/rustico
per estensione, sost. persona che non dà confidenze /che non gradisce smancerie / non incline alla socialità di facciata / orso.

sabato 10 novembre 2012

Raccontalo al vento (un altro mio racconto)



RACCONTALO AL VENTO

Dai, raccontami la tua di storia …
Non iniziò subito Diego. Il silenzio, come una ritrosia a rinvangare una faccenda magari anche dolorosa o forse come a raccogliere le idee, metterle in ordine per capire come era cominciata e come iniziare a raccontarla.
Il silenzio, tanto, tanto che sembrava un muto diniego, un “ ma lasciamo stare”.
Poi cominciò, una pacata voce narrante che raccontava di cose ormai perse nel tempo.
Era cominciata male quella mattina. La sera prima c’era stata una discussione con Gianna ed erano andati a dormire ognuno nella propria parte di letto, un Buonanotte tirato via, la luce subito spenta, ognuno nei propri pensieri.
Sì, Gianna non aveva tutti i torti, la bambina aveva la febbre e l’indomani doveva stare a casa ma Gianna aveva un colloquio di lavoro che sembrava promettente. E lui non ci sarebbe stato. Proprio non poteva, doveva essere a Bologna alle dieci per incontrare un cliente che inseguiva da mesi e doveva partire presto, un due ore due ore e mezza calcolando il traffico sulla tangenziale. Sembra impossibile ma le cose vanno sempre per il verso storto, davvero uno di quei corollari della legge di Murphy; in un altro giorno non avrebbe avuto problemi ad aspettare a casa fino anche alle 11, ma l’indomani proprio non poteva.
Avevano provato a chiedere alla madre di Diego che guarda caso proprio l’indomani sarebbe partita presto per una gita in pullman ad un qualche Santuario, era tanto che il circolo degli anziani l’aveva organizzato, mi spiace tanto, mi sarebbe piaciuto, sarà per un’altra volta.
Diego aveva suggerito allora a Gianna di chiamarli per spostare l’appuntamento di un giorno, e sì, loro son lì che aspettavano lei e poi se spiegava che il problema era la bambina con la febbre non avrebbe certo guadagnato punti, si sa che le aziende appena sci sono problemi con  bambini non sono mica contente perché pensano che poi un domani … e lui quando c’era bisogno non c’era mai, nemmeno quel giorno in sala parto.
- Cazzo, ma io un lavoro ce l’ho già, mica posso perderlo perché tu forse, e sottolineo forse, te ne trovi uno!
Quello era stato il suggello della serata, ognuno in branda per i fatti suoi.
Alla mattina Diego, quasi come un ladro benché in casa propria, si era alzato senza far suonare la sveglia, era andato in bagno a farsi la barba. Tornato in camera Gianna non si era mossa. Niente colazione preparata, va bè pazienza, un cappuccino ed una pasta c’è pieno di bar, anche l’autogrill va bene.
La valigia già invece costituiva un reale problema. Anni ed anni che non se la preparava. Gianna pensava a tutto. Bastava dire cosa e quanto, due giorni riunione, oppure tre giorni giro dai clienti e Gianna gli faceva trovare tutto quanto nella valigia. Lui doveva solo prenderla sta valigia che un paio di volte era dovuto tornare indietro.
Ma non era aria. Lei di sicuro era sveglia perché quando lui si era alzato  lei si era voltata verso il muro, poi mentre lui era in bagno lei aveva spento la luce sul comodino di Diego ed adesso era ancora girata, il viso voltato dall’altra parte.
Un tentativo. – Amore … la valigia …?
- Arrangiati.
E lui si era arrangiato. In un qualche modo. Qualcosa in valigia ci aveva messo, mica si perdeva in un bicchier d’acqua.
In macchina comunque rifacendo mentalmente un veloce inventario si era reso conto che ecco sì, i calzini in effetti li aveva saltati, mentre invece il rasoio elettrico quello proprio non l’aveva considerato lasciandolo bello bello sul ripiano in bagno accanto al dopobarba che infatti devono stare assieme. Va bè, poco male, a tutto c’è rimedio.
Rimedio invece non ce n’era stato all’incidente sull’autosole. In lenta e penosa coda aveva ascoltato isoradio pregando prima tutti i Santi e poi bestemmiandoli uno ad uno quando dalla radio informarono dell’uscita obbligatoria a Roncobilaccio.
Pagato al casello aveva seguito il fiume di auto che proseguiva tortuosa per Bologna. Era già in ritardo, parecchio ritardo.
Poi l’auto si era fermata un paio di sussulti e poi basta. Non aveva avuto nemmeno la forza di bestemmiare se non un “Eccoci!” sommesso; si stupì della propria calma. Su un tratto in discesa della strada, riuscì a mettere la macchina in un piccolo spiazzo ghiaioso accostato alla collina. Più per la forma che per reale possibilità di capirci qualcosa aveva poi tirato su il cofano dell’auto stando a guardare quell’insieme di cose che complessivamente formavano “il motore”.
Le altre auto gli proseguivano accanto veloci ed indifferenti alla sua piccola difficoltà, nessuna che accennasse a fermarsi per dare una mano però, per onestà, andava detto che Diego a nessuna aveva ancora dato cenno di avere bisogno. Dette ancora uno sguardo a quell’insieme di parti sorridendo tra sé e sé che  comunque nemmeno se una di quelle avesse tirato su il cartello “ ciao, sono io che mi sono guastata”  lui ne sarebbe venuto fuori. Provò un paio di volte a riavviare l’auto, il motorino d’avviamento partiva sereno e volenteroso ma nessun minimo cenno, neppure uno colpo di tosse veniva dal motore. Non si stupì neppure quando, volendo avvisare il cliente che ormai avrebbe fatto molto tardi e concordare magari di spostare nel pomeriggio l’appuntamento, il cellulare  segnalò tritonale che lì non c’era campo.
- perché dovrebbe esserci campo? Se è una giornata di merda deve esserlo per bene, se no che giornata di merda è? – pensò allegro, davvero non c’era nulla che lui potesse fare. La benzina c’era, le ruote erano gonfie, controllate all’ultimo rifornimento, la cintura l’aveva indossata tutto il viaggio sicché quanto era in suo potere e dovere di fare era stato fatto. Il resto era faccenda da meccanico. Ne andava trovato uno, tutto lì.
Per scrupolo tolse la borsa da lavoro dal sedile posteriore e la mise nel bagagliaio. Dentro c’erano la solita documentazione di presentazione, le brochure, qualche altra roba e soprattutto il laptop, meglio non lasciarla così in bella vista. Valutò un attimo se portarsela dietro ma era una borsa di quelle senza la tracolla, una bella borsa di pelle a tre scomparti con un’unica chiusura al centro. Solo la maniglia per portarla, proprio non ne aveva voglia. Mise su il giubbotto sopra la giacca che la mattinata era sì soleggiata ma davvero frizzantina, si accese una sigaretta e si disse:
- E ora? in su o in giù? –
In giù era ovviamente più invitante però la strada si perdeva quasi subito dietro una curva che sembrava infilarsi tra i boschi. Non aveva la più pallida idea di dove fosse e quindi nemmeno quanto mancasse per raggiungere una qualche forma di civiltà. Invece andando in su ricordava d’aver visto poco prima un cartello che indicava una stradina laterale e l’indicazione Osteria – Locanda e poi un qualche nome. L’aveva notata con la coda dell’occhio e si era chiesto come potessero ancora campare esercizi del genere in quei giorni. Adesso considerò che gli tornava utile che ci fossero ed in qualche modo campassero, per lo meno quel giorno ancora.
S’avvio quindi per in su con passo agile e deciso, un’occasione inaspettata di fare un po’ di movimento in mezzo alla natura, tanto valeva approfittarne.
Quando aveva visto quel cartello doveva essere veramente intento a profondi pensieri perché poi di strada ne aveva fatta di certo, non erano assolutamente le due o tre curve che pensava. A parte le auto che scendevano in giù e giusto un paio che risalivano, le uniche tracce di vita che aveva incontrate erano state un piccolissimo edificio comunale più simile ad un garage con un cartello “Deposito sale” ormai arrugginito, applicato con rivetti al portoncino ancora più arrugginito ed il muschio che saliva dalla parete a vista fin sopra il tetto, ed un manifesto sbiadito e mezzo scollato dal muro di contenimento su una curva; l’indicazione era che la Pievania di San Qualcosa, in occasione della festa triennale sempre di quel santo, organizzava alla sera la tradizionale processione con l’urna del santo alla quale sarebbero seguita la Messa ed al termine i fuochi artificiali. Se l’era letto per bene mentre s’accendeva un’altra sigaretta. L’appuntamento era per gli ultimi dello scorso maggio ed ora era ottobre avanzato, quella se l’era persa …
Alla curva dopo lo vide e si rincuorò. Il cartello indicava che a 400 metri c’era questa osteria, Da Gilda diceva, e la freccia indicava una stradina laterale sì asfaltata ma veramente stretta, due macchine a stento potevano passare di fianco; si vedeva subito che era in bella salita scavata tra vecchi castagni.
- Speriamo almeno che il telefono ce l’abbiano! pensò Diego cominciando ad inerpicarsi.
Non sembra ma quattrocento metri nel nulla del bosco sono tanti, meno male che la strada era un sicuro indizio di vita altrimenti c’era da pensare d’essersi persi. L’asfalto nell’ultimo tratto andava morendo e la strada proseguiva sterrata però l’osteria già si vedeva addossata e abbracciata alla collina boscosa, una bella grande casa di pietra di una volta, un gran prato pianeggiante di fronte, un comignolo che fumava. – Buon segno, qualcuno almeno c’è – si disse Diego che un po’ aveva temuto d’aver fatto tanta strada per nulla.
Via via che si avvicinava il suo umore migliorava; la casa, due piani, aveva la facciata illuminata dal sole, dalle finestre e dal terrazzo fiori benché in autunno coloravano da vasi di coccio la facciata,  altrimenti scura dalle pietre a vista. L’ampio portone d’ingresso, soverchiato da un lungo e spesso pietrone come architrave, era celato da una tenda a fili di metallo. Una semplice insegna di legno pitturata arancione riportava in lettere rosse incavate le stesse indicazioni del cartello sulla strada. Scostata la tenda la porta a vetri era aperta e si ritrovò in un ampio vano piastrellato a lucidi mattoni di taglio, sulla destra il bancone del bar con la macchina del caffè in bella vista, un paio di ripiani con le bottiglie di liquori, bicchieri, le solite cose. Non molta luce ma anzi quasi penombra era però molto accogliente, dava un senso di pace e pulizia.
- C’è nessuno? Domandò Diego a mezza voce.
Gli rispose il silenzio e dopo un po’ Diego ripeté la domanda un po’ più forte.
- Eccomi!
Da una porta a fianco del bar comparve una donna che si aggiustò una ciocca di capelli di lato.
- Salve!
- Buongiorno anche a lei, signora!
- Non ho sentito nessuna macchina arrivare, ero qui fuori nell’orto … ma è venuto su a piedi?
- Sì proprio, ecco appunto, mi si è guastata la macchina e venivo a vedere se potevo telefonare per un meccanico, ma se intanto posso avere un caffè lo prendo davvero volentieri.
- Sì che c’è il Guido, su in paese, le faccio il caffè poi glielo chiamo.
- Grazie signora, ben gentile.
Qualche attimo dopo Diego assaporò un espresso caldo e gustoso che lo riconciliò definitivamente con il mondo.
L’orologio sulla parete diceva “antica torrefazione Prosperi” ed indicava le 11 e trenta da poco passate.
- cazzo! meditò Diego, tranquillo che il cliente se n’è accorto che faccio tardi …
- Dov’è che c’ha la macchina così lo dico al Guido.
- Un paio di chilometri andando in giù, gli dica che è una Punto nera; non so cosa sia successo, di punto in bianco ha smesso di funzionare.
La signora se ne andò nel retro e dopo poco la sentì che parlava al telefono. Riapparve quasi subito.
- No, lui non c’è, è a fare un servizio ma tra un paio d’ore dovrebbe essere di ritorno. Sua moglie chiede se le chiavi le ha lasciate dentro.
- No, ce l’ho io, non ci ho pensato …
Non ebbe il coraggio di dirle che mai e poi le avrebbe lasciate dentro la macchina così … indifesa, anche se guasta …
La signora lo guardò come a dire capisco e risparì.
- Nessun problema, tra un po’ manda il figlio con il motorino a prenderle, tanto lei sta qui no?
- E per forza - rispose Diego, - non è che ho poi tanti altri posti dove andare.
- E allora si metta pur seduto lì ad un tavolo e si legga il giornale, ho “Il resto del Carlino”, è lì sotto la televisione, se vuole gliela accendo.
- No grazie, c’è un bel silenzio, leggo volentieri.
- S’accomodi allora.
- Sì volentieri, le spiace se le chiedo un altro caffè, era proprio buono, ci voleva.
- Ora glielo porto.
Nella mezz’ora seguente Diego lesse tutto il giornale, all’inizio soffermandosi solo sulle notizie più importanti, poi, arrivato quasi subito all’ultima pagina, riprendendo da capo e leggendo qualsiasi articolo, anche la cronaca succinta dei paesi d’intorno, alcuni dei quali noti perché uscita di un casello, altri che nemmeno aveva sentito nominare. Quello più importante riportava l’apertura di una nuova farmacia a  Sasso Marconi.
S’erano fatte intanto le dodici e un quarto, la signora di tanto in tanto spuntava a sistemare della roba al bar e veloce rientrava.
Diego si alzò per andarsi a fumare una sigaretta fuori, seduto ad uno dei pochi tavoli sotto il pergolato e riflettendo su come nel frattempo non sì era visto nessuno.
- Scusi – disse la signora affacciandosi fuori – pensa di mangiare qui che caso mai mi regolo?
- A questo punto direi proprio di sì, il figlio del meccanico non si è visto ancora …
- Ah quello! Prima deve tornare da scuola, và alle medie, fa la terza.
- Ne ho piacere per lui! Va a finire che torna prima il padre …
- Ma il Guido anche se torna, prima mangerà a casa, vedrà che fino alle due due e mezza non va certo a vederla la sua macchina.
- Allora siamo strigati dalla guazza! Che mi fa di buono?
- Cosa le piace? Oggi è una giornata morta, non c’è traffico e non ho preparato nulla di speciale. Le posso fare della pasta corta al ragù o dei tortelli con il sugo di funghi e per secondo una fettina di carne alla brace con delle patate o dell’insalata di contorno, non ho molto altro …
- Andata! Va benissimo.
- Va benissimo cosa, la pasta o i tortellini?
- Pasta con il ragù la preferisco.
- E allora gliela preparo. Quando vuole mangiare?
- Non ho fretta, quando le torna comodo, per l’una può andare?
- Per me quando vuole, anche prima.
- Facciamo così, quando è pronto mi chiama; piuttosto mi dica una cosa, ma qui non ce n’è proprio di campo per i cellulari?
- Macché! A volte c’è una tacca per un po’ e poi di nuovo più niente; basta andare poco su verso il paese o ben in giù alla Fonte e si prende benissimo, qui invece siamo in un buco fuori dal tempo. Io lo tengo sempre spento che tanto lo uso solo quando vado su in paese e poi per quello che lo devo usare … Ma se ha bisogno del telefono la faccio chiamare, usi pure il mio di casa, uno ce l’ho giù in cucina.
- La ringrazio signora, ma tanto ho già fatto tardi per tutto, caso mai più tardi quando so qualcosa della macchina. Mi auguro davvero di non dovermi fermare qui …
- Perché non le piace?
- Ha ragione, detta così sembra brutta, non era mia intenzione, quello che volevo dire è che…
- Non si preoccupi, ho capito ho capito – rispose la signora con un bel ampio sorriso - Qui ci si viene o apposta in vacanza o per puro caso come lei  e si vorrebbe scappare subito via, non è che ci sia molto da fare, se non tenere compagnia ad una vecchia! Vado a preparare.
Detto questo si infilò dentro.
Diego era rimasto dapprima un attimo in imbarazzo per la gaffe che aveva fatto e poi dopo per un’improvvisa impressione per l’accenno alla compagnia ad una vecchia che aveva fatto la signora, meno male che era andata via subito, non avrebbe saputo come risponderle.
Gli era sembrato un modo un po’ civettuolo per farsi rispondere che no, che dice, non era vecchia anzi, ma così sarebbe potuta sembrare un’avance e non era sua intenzione, mentre se fosse stato zitto avrebbe avvallato il pensiero che era brutta e quindi non più desiderabile.
Una brutta posizione in tutti e due i casi.
Che poi brutta non era, anzi, piacente.
Sui cinquant’anni pieni pieni, bassina, robusta ma soda, lunghi capelli neri con fili bianchi raccolti in una coda, due braccia snelle, due mani ben formate, fianchi pieni ma non molli, due tette che si indovinavano orgogliose dallo scollo della camicia, due gambe che dal ginocchio in giù sotto la gonna erano correttamente nervose. Il viso poi era più che piacevole con un bel taglio della bocca, un naso giusto e due occhi chiari e profondi. Due orecchini piccoli e rossi da bambina davano quel che di scherzosamente giovane senza essere pacchiani.
- Sai che … - si disse Diego, riflettendo su tutte le considerazioni che si era elencato e su come gli fossero affiorate così, già belle chiare e non ricordava d’averle notate a livello cosciente; cominciò anche ad impostare una qualche fantasia.
- Sì, ci manca anche questa, la casetta nel bosco e la bella contadinotta!
Quando fu l’ora la signora lo chiamò che era già in tavola e Diego rientrò volentieri che il tempo si stava annuvolando e si era già annoiato di non aver altro da fare che star lì a rimuginare vuoti pensieri.
Il tavolo apparecchiato era quello dove aveva letto il giornale, una tovaglia a scacchi bianchi e rossi, tovagliolo bianco, il cestino del pane, le posate, saliera e pepiera, il piatto fumante, il formaggio grattato pronto con il cucchiaino infilato – Un classico! – pensò Diego – da manuale della perfetta osteria con quel vezzo di modernità dato dalla tovaglia messa in diagonale.
- Da bere cosa le porto, ho un bianco fermo o piuttosto un bel rosso di queste parti, abboccato.
- Vada per il rosso ma non tanta roba e una mezza di minerale non gassata.
- le porto un quartino ed una brocca di acqua qui della fonte, sentirà che roba, bella fresca.
Diego cominciò a lavorare il piatto di pasta fumante condita da un ragù che sprigionava mille sapori e faceva affiorare ricordi di mille cose lontane.
La signora arrivò con la brocca dell’acqua, la caraffa di vino ed un altro bicchiere e glieli riempì, posando poi il tutto ben disposti di fronte a lui.
- assaggi pur bene che un ragù così non lo trova mica da nessuna parte, ci metto il cuore ci metto!
- signora, questa pasta è fantastica davvero …
- e lo so, lo so ma mangi pur comodo che vado a controllare lo spezzatino.
Diego proseguì con gusto ad attaccare la pasta, la porzione che gli era sembrata troppo abbondante era invece finita lasciandogli quasi un rimpianto. Senza nessunissima vergogna ripulì con il pane ogni traccia di sugo dal piatto, bevendogli poi dietro con piacere un bel bicchiere di vino.
Un buonumore crescente lo permeava e tutto gli piaceva di quel posto, di essere lì in quella vecchia osteria con i bicchieri di vetro trasparente, quelli proprio di una volta con il manico sfaccettato e la caraffa del vino di coccio dal collo stretto e la bocca svasata. Tutto come una volta, anche il tempo sembrava scorrere più lento, senza affanni, senza fretta.
Era sereno Diego.
- la gradisce ancora un po’ di pasta? è ancora bella calda - gli chiese la signora avvicinandosi con il tegame in una mano ed il mestolo nell’altra.
- è proprio per ingordigia che le dico di sì, eccezionale veramente, complimenti!
- eh ma lo sapevo io! Tra poco le porto lo spezzatino, l’ho fatto con le erbe condito con un sugo di funghi da far resuscitare i morti.
- Ah bene! m’aveva detto che c’era solo una fettina di carne …
- vada pur là che la Gilda ha sempre una sorpresa per i suoi clienti! Mi son detta che una giornata rovinata andava aggiustata da una bella mangiata e allora …
- Non ho parole signora, non ho davvero parole!
La signora, la Gilda a questo punto, lo guardò con un ampio sorriso e con uno sguardo che oltre a sorridere aveva una punta come di … come se lo stesse soppesando … almeno a Diego sembrò per una frazione di secondo.
Ma subito scacciò distratto il pensiero e s’accinse a gustare, senza più l’improvvisa ingordigia di prima, la pasta nel piatto.
Aveva infilato l’ultima forchettata che la Gilda arrivò con una terrina tenendola con due panni alle corte maniglie.
- stia attento a toccarla che brucia, è caldissima! e posandogliela davanti tolse il coperchio liberando un vapore caldo che portava con sé un profumo di erbe e di funghi, di bosco e di vita.
Inalando quel profumo a Diego la salivazione andò su di giri.
- mamma mia quanta roba! Come si farà a finirla tutta!
La Gilda gli regalò un altro sorriso e gli rimase lì accanto, le mani incrociate davanti.
Diego infilò una patata, la soffiò forte e se la infilò in bocca. Scottava ancora ma già solo quella aveva tutti i sapori del mondo. Con la forchetta fece un ampio gesto significativo nella sua direzione accompagnandolo con un mugolio:
- mmh che roba, che roba!
La Gilda rispose con un sorriso più ampio ancora e lo sfiorò appena sulla spalla, un tocco gentile e leggero come di approvazione e se ne tornò dietro in cucina.
Diego s’immerse in quella terrina senza più pensieri e affanni, libero da ogni preoccupazione come in una bolla del tempo; chiese ancora un quartino, mise pezzi di pane ad inzupparsi nel sughetto, finì tutto con una profonda sensazione di appagamento.
Si scostò soddisfatto dal tavolo e stupito s’accorse che la Gilda lo stava fissando da dietro il bancone del bar.
- glielo faccio adesso il caffè o vuole un po’ di frutta, ho delle mele e dell’uva?
- caffè caffè signora, non ce la faccio più a mangiare nemmeno un acino, sono pieno come un uovo, era tutto così fantastico e mi ci son fatto anche due quartini di vino, io che quasi non lo bevo mai …
- Lo vuole corretto?
- No no nero però sa cosa? Un grappino ce lo prenderei anche, ormai che ho rotto gli argini…
- Allora ci penso io a lei – rispose la Gilda
In quel momento si sentì arrancare un motorino che percorreva l’ultimo tratto di strada e subito dopo entro un giovane ragazzo che salutò cordialmente la Gilda
- è il figlio del Guido, è venuto per le chiavi della macchina.
- Ah bene, eccole qui, tuo padre è già tornato?
- no, non ancora.
- mmh … ascolta una cosa allora, ho bisogno di un piacere, com’è che ti chiami?
- Marco.
- Bene Marco, avrei bisogno che tu m’andassi alla macchina, è un po’ in giù verso Bologna, una Punto nera, la vedi è su una piazzola sulla destra. Ce la fai a prendermi la borsa e la valigia, sono nel bagagliaio? Ne avrei bisogno così mi porto un po’ avanti con il lavoro … ecco guarda, questi sono per te per la benzina - e gli porse un dieci euro.
- Va bene, grazie, ci vado subito!
- Grazie a te Marco! Mi fai una grossa cortesia.
Uscito che fu la Gilda arrivò con la tazzina di caffè, un piccolo bicchiere ed una bottiglia di vetro chiara piena a metà di un liquido appena ombrato di verde chiarissimo.
- questo la faccio io con le castagne, sentirà che roba, fa passare tutto.
- Ma mi dica una cosa signora, ma come mai qui è così … vuoto, voglio dire non c’è nessuno?
- ah ma ora è la stagione morta, c’è poco giro. A pranzo quasi mai nessuno, lei è un’eccezione.
Lavoro un po’ la sera, ci sono degli operai che a volte si fermano anche a dormire, ho sei stanze al piano di sopra. Poi la sera vengono gente del paese a prendere il caffè e farsi una partita a carte; invece il sabato e la domenica sono sempre piena, viene giù mia cognata ed una ragazza ad aiutarmi che così da sola non ce la farei proprio …
- Aah! mi sembrava appunto …
- In estate ho sempre tutte le stanze piene anzi ce n’avessi delle altre… ci vengono magari i soliti clienti a passare una quindicina, non sembra ma qui c’è l’aria buona e tanta pace, ci sono i boschi per far delle passeggiate e comunque c’è il paese qui sopra, ci s’arriva per il sentiero qui dietro, è comodo.
- Ancora una cosa, se posso; diceva che qui è da sola … ho visto che è sposata …
- Ah questa! – Esclamò la Gilda toccandosi la vera.
- Sì, sarei anche sposata ma … sono tanti anni che vivo qui da sola. Mio marito un bel giorno è sparito così da un momento all’altro, sparito senza nemmeno un biglietto, una spiegazione. Sono venuti i carabinieri, hanno fatto domande, cercato in giro e nei boschi ma poi è passato il tempo e non se n’è saputo più nulla; fu un bel caso misterioso che ne hanno parlato anche i giornali; son qui che ancora ci penso a volte, mi chiedo dove sia finito. Ipotesi i carabinieri ne hanno fatte tante, anche di brutte; non lo dicevano ma mi guardavano strani …
Gliel’ho detto a loro, per me era andato in Brasile, c’avevano dei cugini di zii emigrati anni e anni fa, un tempo qui non c’era lavoro; non che ce ne sia adesso, ma insomma con la macchina non sei più isolato, ti devi muovere ma insomma … Non è come ai tempi di mia nonna ed anche prima che se ti veniva il mal di pancia te lo tenevi. Anch’io ho dei fratelli di mio nonno che sono emigrati, due in Brasile ed uno in America ma ancora prima della guerra.
‘somma mi son trovata qua sola e mi sono arrangiata. Ho riaperto l’osteria che una volta ce l’avevano i miei suoceri, questa casa era loro; poi un po’ alla volta ho cominciato ad affittare le stanze agli operai della forestale, poi a qualche famiglia, ho dovuto fare dei lavori per sistemare le camere che c’è la legge che dice come dev’essere tutto e via, darsi da fare che nessuno poteva aiutarmi, i miei dopo un po’ sono morti, mio fratello lavorava già a Genova al porto. Eh insomma, è andata così è andata, cosa ci vuol fare? Ma non mi lamento, proprio per niente. Solo che sì, si sa, gli anni vanno avanti e non indietro … Tra qualche anno saranno anche troppi per continuare, la voglia ci sarebbe anche che così ti passa il tempo ma così da sola … chiuderò bottega e morta lì, vedremo …
Diego accennava piano con la testa, un “mmh” o un “capisco …” ogni tanto per far vedere che seguiva la storia e comprendeva la situazione ed intanto pensava – ma perché non mi faccio mai i cazzi miei, cosa le dico adesso?
In silenzio la Gilda gli riempì il bicchiere di liquore di castagna e quando posò la bottiglia sulla tavola, a disposizione, il motorino di Marco stava tornando indietro.
Diego le fece un cenno con il capo in direzione della porta e si alzò per andare da Marco.
Fuori l’aria era più fresca, il sole era sparito nascosto da nuvole basse.
- Ah bene, bravo Marco, proprio quelle volevo; è arrivato tuo padre?
- Non lo so mica! Non ci sono ancora tornato su a casa, sono andato alla macchina e poi subito qui.
- Scusa, hai ragione anche te; va bè, dì a tuo padre che mi faccia sapere subito quando sa qualcosa, che chiami qui all’osteria.
- Sì sì, sicuro, arrivederci!
- Ciao, fai a modo.
Lo voleva richiamare per assicurarsi che avesse richiuso la macchina ma non osò, avrebbe dovuto urlare il suo nome che già stava infilando la discesa; - l’avrà fatto, speriamo – pensò.
Lì all’ingresso ristette, la valigia in una mano e la borsa nell’altra a riflettere;
- E adesso?
Poi si infilò deciso che stava iniziando una pioggerellina sottile sottile.
Il suo tavolo era già stato sparecchiato, la bottiglia di liquore ancora lì assieme al bicchiere che non aveva ancora toccato.
- Signora, allora se non le dispiace mi metto qui a fare un po’ di lavoro, tanto fuori adesso pioviggina e non fa più quel calduccio di prima…
- Ha voglia Lei, stia ben comodo che a me non mi da fastidio, anzi, mi fa un po’ di compagnia sapere che c’è qualcun altro in casa.
Diego andò al tavolo, posò la valigia accanto e si mise la borsa sulle gambe, tirò fuori il portatile valutando se era il caso di chiedere dove fosse una presa di corrente intanto che lo accendeva.
Qualche attimo e la schermata di windows si caricò ed ebbe il suo consueto desktop.
- Tanto vale approfittarne - si disse ed aprì le cartelle di alcuni report che doveva completare, una voglia prossima allo zero.
Lavorò forse una mezz’ora abbondante quando squillò il telefono. La Gilda dopo un attimo le fece un segno di venire.
- è il Guido – le disse.
- Ah bè, se è “il Guido” – pensò Diego guardando l’ora, le tre e dieci.
S’infilò in cucina, il telefono era poggiato lì subito su un bancone.
Il problema era banalmente la centralina dell’alimentazione, un sensore che non funzionava più, voleva sostituita, ( il sensore o la centralina? Mha, mica l’aveva capito e poi tanto valeva …). La macchina l’aveva portata con il carro attrezzi su in officina, e tra andare a prendere il ricambio, montarlo, il lavoro e tutto pensava di dargli la macchina per le sette e mezza, le otto, gliela avrebbe portata lì.
Diego ascoltò la diagnosi e la prognosi come cosa che non lo riguardasse, pensando solo che la giornata era irrimediabilmente persa, punto.
Salutò “il Guido”, mise giù la cornetta e tornò al tavolo. Subito spuntò la Gilda che con un cenno della testa interrogativo gli chiese:
- E allora?
- E allora ciccia, fino a stasera non è pronta, ormai per oggi mi prendo un giorno di ferie …
Piuttosto pensavo una cosa, tanto domani devo comunque girare per Bologna, non è che avrebbe una stanza, magari ne approfitto per farmi un riposino; stasera ceno qui che si mangia bene e poi domattina parto presto.
- Ha voglia lei se ho la stanza, se viene su gliela faccio vedere, ho solo bisogno di un documento.
Diego tirò fuori il portafoglio dalla tasca di dietro dei pantaloni e trasse la carta d’identità porgendola alla Gilda, mentre intanto spegneva il portatile che voglia di scrivere numeri e considerazioni non ne aveva proprio più. Una indolente sonnolenza lo aveva preso, complici forse i due quartini di vino e quel paio ma anche tre di bicchieri di liquore dal gusto rotondo ma che bruciava come il fuoco che si era ingollato.
Il suo passo era tranquillo ma appena come intorpidito mentre seguiva la Gilda sulla rampa di scale che dalla sala partiva da un angolo.
Colse l’occasione di valutare il culo di Gilda e qualche centimetro in più di gamba, i polpacci ben formati.
- Ecco, la luce del corridoio è qui, il bagno ce n’è uno solo in comune per tutti, è questa porta qui; in camera trova gli asciugamani, se vuole può farsi una bella doccia che l’acqua calda ce n’è per un reggimento; guardi, questa è la sua camera, le ho dato la più grande, la mia è quella dopo … -
Intanto gli porgeva la chiave dotata di un penero verde.
A Diego sembrò che la mano nel porgerla indugiasse un attimo in più del necessario;
- La ringrazio signora, ben gentile – disse in fretta, con un sorriso impostato a cortese circostanza.
Aprì la porta, accese la luce, la Gilda la sentì riscendere le scale.
Non era poi quel gran ché grande pensò Diego, un armadio, un comodino, un tavolino con una sedia, niente televisore ma il letto era bello, di quelli da una piazza e mezza con lo schienale e la parte davanti di ferro, come una volta, una finestra con le persiane sulla parete accanto.
Si sedette sul letto che era piacevolmente morbido. Sì decise a spogliarsi lasciandosi solo la camicia e s’infilò nelle spesse lenzuola ben più che fresche, fredde.
Si sporse dal letto per prendere la valigia dove aveva il romanzo che voleva finire accendendo poi la semplice lampada sul comodino. Si mise su un fianco, le coperte ben rimboccate sulle spalle e si mise a leggere.
Forse qualche minuto dopo già smise che la storia non riusciva a seguirla, dopo poche righe doveva tornare indietro a rileggere. Era impastato di sonno. Spense la lampada sul comodino e cercò invano l’interruttore per la lampada al soffitto, risolvendosi a dover lasciare per un attimo quel tepore che si era creato ed andare a spegnerla alla porta.
Qualche fugace pensiero, un paio di considerazioni, un ampio sbadiglio e già si era addormentato.
Lo svegliò in un tempo indefinito un bussare di nocche alla porta.
- Signor Diego? Sono la Gilda … è arrivato il Guido con la sua macchina, chiede se può scendere …
- Certo, sì subito, ma che ore sono?
- le otto e un quarto.
- Mamma mia se ho dormito! Arrivo, arrivo subito.
Diego a malincuore si scosse dal sonno residuo, alle persiana una pioggia insistente lasciava intendere che serata che fosse.
Lesto s’infilò i pantaloni, si risedette sul letto ad infilarsi i calzini e mentre si rimetteva il maglioncino sulla camicia stropicciata cercava di recuperare frammenti del sogno che gli era stato interrotto; era una situazione strana, si trovava in un bosco e c’era anche la Gilda …
Disceso giù in sala adesso molto illuminata c’erano una buona decina di avventori, alcuni mangiavano ad un paio di tavoli, altri sedevano alla televisione prendendo  il caffè. Individuò dalla tuta subito “il Guido” al bancone, lo salutò cordialmente ed ascoltò la storia della riparazione. La macchina ora era a posto, il problema risolto; aveva bisogno della fattura? Nel caso gliela portava subito alla mattina.
Ascoltato l’importo davvero esiguo tutto sommato non ne ebbe il coraggio, pagò in contanti e salutò con una stretta di mano il meccanico che, dato un ampio saluto agli altri presenti veloce uscì dalla porta.
La Gilda si divideva tra il bancone e la cucina. Gli rivolse un cenno del capo chiedendogli:
- Che fa, mangia?
- Certo!
- Allora stasera ho un ottimo minestrone con pasta e verdure e se no della pasta come oggi…
- Mi tenta signora però un bel minestrone caldo mi sa che è più adatto con questo tempo.
- Si accomodi a quel tavolo allora, lo porto subito.
Diego si diresse al tavolo, fece un cenno di saluto agli altri avventori accanto e si sedette,  alla televisione la pubblicità dopo il telegiornale.
Porgendogli il piatto di minestrone la Gilda si inchinò appena, fugace visione di Diego alla scollatura, e con voce appena più bassa gli disse – di secondo le ho tenuto una bella porzione di spezzatino di oggi, quello che è avanzato; agli altri dirò che l’aveva già ordinato, se no ho solo salciccia con fagioli e purea di patate.
- Lo spezzatino era fantastico, lo riprendo volentieri signora Gilda.
Un suo sorriso e tornò indietro.
Diego si sorprese di come gli era uscito quel “signora Gilda” finale ma ancora di più si meravigliò ricordando come lei lo avesse chiamato “signor Diego” bussando alla porta di camera.
- Aaah, la carta d’identità – si rispose, ma lo stesso perché non l’aveva chiamato con il cognome?
Chissà quale associazione di pensieri gli fece pensare a Gianna ed alla bambina, d’istinto tirò fuori il cellulare constatando preoccupato che campo proprio non ce n’era. Era più che in tempo fino alle nove, nove e mezza, sempre chiamava casa quando restava fuori a dormire.
Per scrupolo digitò un breve sms “ciao amore, nn ho linea. Auto guasta mi fermo a Blgna. C sentiamo + trd se no domattina”. Pigiò l’invio pensando che magari l’sms sarebbe partito lo stesso prima o poi se arrivava quella tacca.
- Caso mai dopo lo chiedo alla mia Gilda se mi lascia telefonare a casa – si disse sorridendo del pensiero.
Terminò con gusto la cena guardando nel frattempo la televisione, un volume appena superiore al vociare di sottofondo ma non prese il caffè, non ne fece in tempo.
Un violento boato, un lampo vivido e tutto si spense, il fulmine aveva picchiato davvero vicino. Voci, esclamazioni, un paio di bestemmie, rumori di cose smosse. Qualche attimo ancora poi la Gilda accese una candela e poi altre che aveva dietro il bancone; dentro ad un piattino le posò sul bancone. Una la prese e con incedere come spettrale s’infilò in cucina.
- Ben, per stasera si fa festa, il contatore è scattato ma tanto non c’è corrente anche a tirarlo su! Anche il telefono è andato, siamo isolati … Bella gente mi sa che se aspettate diventiamo vecchi prima che la luce ritorni.
Voci che acconsentivano, rumore di sedie smosse e tavolini, gente che salutava, la Gilda rispondeva a tutti dicendo che andassero pure facendo attenzione che era tutto buio e che poi i conti li avrebbero fatti l’indomani.
Diego rimase alla sedia, alla luce fioca della candele sul bancone, fuori rumori di auto messe in moto che partivano poi tra gli scrosci di pioggia, lampi alla finestra, rombi vicini.
La Gilda chiuse la porta a vetri e dopo ancora il portone, poi si diresse verso di lui, non era rimasto nessuno.
- Mi sa che stasera c’è poco da fare, questo è un temporale di quelli buoni, ormai è stagione; le do una candela così ci vede per andare in camera, poi vado a dormire anch’io, mi resta poco da fare in cucina con sto buio.
- Va bene signora, mi sembra anche a me così; le auguro una buona notte; ma dicevo, non ci sono altri che devono andare su …
- No, stasera lei è da solo, perché c’ha paura?- sorridendo alla fioca luce della candela
- No, assolutamente, così, chiedevo; ha bisogno di una mano, volentieri …
- Proprio no, la ringrazio del pensiero ma  sarebbe poi più di impiccio che altro, vada vada, vada pur a dormire; domattina vuole che la sveglio o ci pensa da solo?
- Nessun problema, ho la sveglia sul cellulare… allora … buonanotte!
- Che sia così signor Diego, che sia così, buonanotte anche a lei.
Nel buio della stanza Diego ascoltò la pioggia che batteva a scrosci violenti ed il rombo dei tuoni che si riverberavano cupi. Dalle persiane lampi improvvisi preannunciavano di attimi lo schiocco del fulmine.
Si chiese se era al sicuro in quella casa praticamente nel mezzo del bosco poi, senza accorgersene, s’addormentò cullato dai rumori di fuori.
Si svegliò al buio lucido, improvviso; la pioggia cadeva ancora costante ma non c’era più la violenza di prima. Dei passi alla porta:
- Diego?  Diieego?
- Sì?
- Sono la Gilda, è tutto a posto? L’ho sentita agitarsi, ha bisogno di qualcosa?
- no no, davvero, tutto a posto …
Diego sentì meravigliato la maniglia abbassarsi ed il dischiudersi della porta; spaventato cercò di ricordare come avesse fatto a non chiuderla a chiave, pochi passi veloci e la Gilda gli si infilò nel letto.
- allora sono io che ho bisogno di qualcosa – la sentì sussurrare nel buio.
Diego impietrito non sapeva che fare, cosa dire. Ci pensò Gilda e ci pensò bene.
- Che faccio? La domanda che a Diego per un attimo apparve, mai aveva tradito Gianna, ma quando l’istinto prende il sopravvento la ragione cessa di suggerire; s’abbandonò nell’abbraccio con quel corpo che lo abbracciava ed ansimava – Diego, Diego …
Colto da una violenta eccitazione rispose a quella lingua che lo frugava ed abbandonata ogni ritrosia, scostando la vestaglia palpò vividi quei seni caldi e quel ventre bollente, scese con la bocca avido più giù, sempre più giù, abbrancando quelle cosce già protese in offerta, ed infiammandosi sentendola gemere bevve di quel muschio salato. Risalendo fremente con cieco desiderio le entrò dentro.


“E poi? continua ti prego il tuo racconto“ chiese la voce sussurrando.

“E poi e poi, poi niente, son qui come vedi …
“cosa ancora è successo allora, racconta …”

 “dai, racconta!”

“La mattina dopo non mi son più svegliato.
Come vedi son qui che ti parlo seduto su questo sasso, il mio corpo sepolto sotto quel castagno, son già più di due anni. La casa deve essere poco distante, lì giù per il sentiero. Non ci è concesso a noi anime di allontanarci troppo finché c’è del corpo, come sai. Certe sere intravedo lassù suo marito, lo ha sepolto sotto quel pietrone, poche le parole che il bosco ci scambia …”

“E perché tutto questo?”
“ e chi lo sa perché tutto questo, quante volte me lo son chiesto anch’io … Mi sono fatto solo una vaga idea, un’ipotesi così, che tempo per pensare adesso ne ho tanto. Sai come si chiamava suo marito? Diego, Diego anche lui. Chissà se è forse poi per questo …”

“che storia strana, strana davvero!” sussurrò poi il vento rompendo il silenzio.
“La racconterò man mano che vado, alle fronde ai cespugli ed alle erbe che al mio passare si piegano; ciao Diego ora vado, grazie per questa tua storia”
“Ciao vento, salutami chi incontri e torna a trovarmi, ti prego”.

Un refolo forte allora smuove le fronde del vecchio castagno, le foglie s’agitano di un ultimo saluto, poi di nuovo è il silenzio.

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