Sarvegu: dialetto genovese, agg. selvatico/selvaggio/rustico
per estensione, sost. persona che non dà confidenze /che non gradisce smancerie / non incline alla socialità di facciata / orso.

sabato 5 gennaio 2013

L'emigrante (un mio racconto)



L'EMIGRANTE

C
'è un lungo ed intenso momento nella sera che spinge l'animo a riconsiderare, a valutare, a ricordare.
Inizia in un imprecisato attimo mentre il sole completa il ritocco al suo arco nel cielo.
E il vecchio, nella sera della sua vita, quel momento lo sentiva vibrare forte in sé.
Si sorprese a pensare dov'è che aveva sentito dire che i vecchi ce l'hanno di professione di ricordare, di andare con la mente rivolta al passato, alle somme, alle conclusioni.
"Vecchio", pronunciò scandendolo dentro di sé;
"È vero, sono vecchio, un vecchio".

Che strano in fondo accorgersi d'essere a pieno titolo un vecchio.
Il tempo sembra non passare mai, solo per gli altri.
Oh sì, ti dà dei precisi segnali; i figli, che solo l'altro ieri li portavi sulle spalle e già uscivano con gli amici, e poi con le ragazze, la ragazza e un giorno se ne vanno da casa, sposati.
C'è lo specchio che ti rimanda un volto sempre sorridente ma anche più velato.
Ci sono gli amici e i semplici conoscenti che partono un giorno, improvvisi o annunciati, e sono subito anni.
Tutti questi volti si confondono nella memoria; restano sprazzi di momenti vissuti assieme; magari una parola o un gesto insolito che ricordano e riassumono un'intera esistenza.
È' strano come la memoria percorra i suoi giri intersecando momenti e fatti tra loro slegati, incanalandosi in mille corsi sfuggenti per poi soffermandosi su un semplice particolare.
Magari insignificante, a volte invece come una riscoperta tanto che pensi "Già, è vero!".
Le farfalle bianche sulle scarpe blu di tua madre, tu che le tenevi la mano al mercato, lei lassù, rassicurante.
E fai fatica a ricordarne i tratti del volto.
Un ciondolo, che tuo nonno teneva attaccato al mazzo delle chiavi di casa; quando rientrava la sera, sentivi dapprima i passi sulle scale, lo sentivi scalpicciare nel breve corridoio dell'ultimo pianerottolo, a volte sbuffare cercando le chiavi nella tasca dei pantaloni, il tintinnio delle chiavi, l'infilarsi nella serratura e lo scatto dello scrocco, la porta che si apriva.
Il saluto, a volte caldo a volte accennato, poi si girava, richiudeva la porta, infilava le chiavi e dava la mandata della buona sera.
Il ciondolo che spuntava giù dal mazzo, luccicante che per un po' oscillava, oscillava fino a fermarsi con un ultimo tintinnio.
Poi ti chiedi dove le prendi certe abitudini, perché anche tu hai un ciondolo appeso al tuo mazzo di chiavi.
Sono cose che t'imbevi da bambino, senza saperlo.
E tuo figlio, bambino, mica lo sapeva che la sabbia scottava così forte, per forza, creatura, al mattino lì giunti era normale, poi sotto l'ombrellone un paio d'ore che sono i primi giorni e il sole non ci sei abituato.
Quando poi "va bene vai, vai a prendere un secchiello d'acqua "eccolo lì che non sa più cosa fare, e ti guarda stupito e saltella piangendo e non avanza e non ritorna finché tu, ridendo, non lo vai a salvare.
E ci sorridi anche adesso, ed era ieri, ieri l'altro.
Invece s'infilano i grani nel rosario della vita, tanti e così indefiniti che nemmeno l'hai scorsi passare eppure sono lì.
Te lo dicono le tue mani, grosse vene sporgenti, asciutte, nodose; le guardi, sono le tue.
"Vecchio, sì, sono proprio vecchio ", e poi non lo dici, non lo pensi, lo senti sottinteso "e stanco, stanco dentro ancora prima che nel corpo ".
Tutti quegli anni che se ci pensi ti sembrano vissuti da un altro.
I primi anni di matrimonio, difficili, c'era poco lavoro e poi sempre meno.
Poi l'imbarco, la speranza.
I primi anni nella nuova terra, difficili, c'era tanto lavoro e pesante, duro, completamente diverso da quello a cui eri abituato, preparato; e la gente, diversa, altre idee, altre abitudini.
Gli anni quelli dopo, una vita, costruita pezzo a pezzo come per caso e ti trovi ad avere una qualche sistemazione, una casa, i figli sposati, del terreno.
Poi lei che va via.
Ogni giorno le rivolgi un pensiero, gettando anche uno sguardo al camposanto, più in su del paese a mezzo colle, che d'inverno tra i rami spogli si riesce ad intravedere un angolo del muro di cinta.
Ci pensi ogni giorno, ti comporti come se tornasse da un momento all'altro, dalla spesa, dalla messa.
E i giorni invece che sai che non torna.
Emigrante.
Vecchio.
Quand'era giovane gli sembrava che fosse una cosa provvisoria, un po' di anni, poi un giorno appena sistemate due cose, sarebbe tornato al paese, alle origini, alle radici.
Riavrebbe visto le sue cose, i suoi angoli, i suoi muri.
Tra un paio d'anni forse, vedremo come mette, e i paio d'anni s'erano sommati.
Adesso, con tanto tempo per pensare, il ricordo tornava più frequente, più crudo, lo struggimento gli mordeva dentro.
Era anche come cancellare una condanna, "MAI PIÙ".
Eh no! No perdio, voleva tornare. Non per starci, solo per rivedere, rivivere, poi sarebbe tornato qui, in queste terre straniere dove aveva costruito la sua vita e dove i figli avevano solide profonde radici, non come le sue, stentate.
Ne parlava al più grande dei figli, quello nei trasporti, più volte; andare da solo non se la sentiva più tanto, gli sarebbe piaciuto che lo accompagnasse anche per fargli vedere, per raccontare.
Ma capiva, capiva bene, i problemi, la famiglia, sono impegni, capiva oltre quel volto che non capiva il perché, la perplessità; sì, il viaggio era lungo, così lungo, ma lui voleva tornarci, voleva proprio tornarci a casa, un giorno.

Il cargo entrò nell'atmosfera con un angolo così tenue che sarebbero state necessarie quattro circumnavigazioni complete prima che le ali potessero prendere appieno la loro funzione.
All'interno il computer di bordo, unica cosa in qualche modo senziente, elaborava i dati che riceveva dai sensori restando incollato al segnale del radio faro laggiù, a terra.
Quando le coordinate collimarono, il computer lasciò trascorrere preciso anche l'ultimo microsecondo del count-down prima di sganciare, da uno sportello secondario del suo ventre enorme, un piccolo cilindro a forma di siluro.
Ciò fatto continuò imperturbabile a guidare il suo corpo nella discesa.
Il vento fischiava e null'altro nel silenzio attorno al siluro.
Brevi istanti e le alette sulla coda lo misero in picchiata con un angolo quasi perpendicolare a quell'immenso azzurro che gli stava venendo incontro.
Passarono minuti poi il siluro s'infilò tra le onde alte dell'Oceano Atlantico, e le onde subito riassorbirono nel loro divenire continuo la colonna di spuma che improvvisa si era levata.
S'immerse profondo il siluro prima che la spinta ascensionale lo potesse rallentare, fermare, infine invertire verso l'alto il suo cammino.
Ma già i componenti del siluro reagivano come previsto con l'acqua del mare, liberando migliaia e migliaia di minutissime bollicine d'aria; sembrava rifriggere tutto, il siluro, e già l'acqua lo aggrediva da dentro, raggiungendo il contenuto interno.
Il tessuto s'impregnò, si lacerò, si dissolse lasciando che il mare prendesse e disperdesse le ceneri mortali di un vecchio emigrante.
" A quest'ora sarai già a casa " stava pensando il figlio e mentalmente recitò una preghiera.
Non era stato difficile nella sua posizione avere un piccolo favore dai colleghi; anche se tutto lo spazio del cargo era destinato al trasporto di materiale dalla colonia alla Terra, un'urna un po' modificata aveva lasciato quel posto per portare suo padre a casa, per sempre, in un qualche modo.
Anche se, a ben vedere, da quel punto del mare dove ora riposava c'erano più di 5000 miglia dalla vera casa, dal paese.
Ma più di così proprio non si poteva fare.

Nessun commento:

Posta un commento